ESPRESSIONI DI FEDE
NELLE OPERE
SAN FRANCESCO
San Francesco d'Assisi, nato Giovanni di Pietro Bernardone (Assisi, 26 settembre 1182[1] – Assisi, 3 ottobre 1226), è stato un religioso e poeta italiano.
Diacono e fondatore dell'ordine che da lui poi prese il nome, è venerato come santo dalla Chiesa cattolica.
Il 4 ottobre ne viene celebrata la memoria liturgica in tutta la Chiesa cattolica (festa in Italia; solennità per la Famiglia francescana).
È stato proclamato, assieme a Santa Caterina da Siena, patrono principale d'Italia il 18 giugno 1939 da papa Pio XII.
Conosciuto anche come "il poverello d'Assisi", la sua tomba è meta di pellegrinaggio per decine di migliaia di devoti ogni anno.
La città di Assisi, a motivo del suo illustre cittadino, è assurta a simbolo di pace, soprattutto dopo aver ospitato i tre grandi incontri tra gli esponenti delle maggiori religioni del mondo, promossi da Papa Giovanni Paolo II nel 1986 e nel 2002, e da Papa Benedetto XVI nel 2011.
Oggi, San Francesco d'Assisi è uno dei santi più popolari e venerati del mondo.
Oltre all'opera spirituale, Francesco, grazie al Cantico delle creature, è riconosciuto come uno degli iniziatori della tradizione letteraria italiana[2].
SANTA CHIARA
La sera della domenica delle Palme (1211 o 1212) una bella ragazza diciottenne fugge dalla sua casa in Assisi e corre alla Porziuncola, dove l’attendono Francesco e il gruppo dei suoi frati minori. Le fanno indossare un saio da penitente, le tagliano i capelli e poi la ricoverano in due successivi monasteri benedettini, a Bastia e a Sant’Angelo.
Infine Chiara prende dimora nel piccolo fabbricato annesso alla chiesa di San Damiano, che era stata restaurata da Francesco. Qui Chiara è stata raggiunta dalla sorella Agnese; poi dall’altra, Beatrice, e da gruppi di ragazze e donne: saranno presto una cinquantina.
Così incomincia, sotto la spinta di Francesco d’Assisi, l’avventura di Chiara, figlia di nobili che si oppongono anche con la forza alla sua scelta di vita, ma invano. Anzi, dopo alcuni anni andrà con lei anche sua madre, Ortolana. Chiara però non è fuggita “per andare dalle monache”, ossia per entrare in una comunità nota e stabilita. Affascinata dalla predicazione e dall’esempio di Francesco, la ragazza vuole dare vita a una famiglia di claustrali radicalmente povere, come singole e come monastero, viventi del loro lavoro e di qualche aiuto dei frati minori, immerse nella preghiera per sé e per gli altri, al servizio di tutti, preoccupate per tutti. Chiamate popolarmente “Damianite” e da Francesco “Povere Dame”, saranno poi per sempre note come “Clarisse”.
Da Francesco, lei ottiene una prima regola fondata sulla povertà. Francesco consiglia, Francesco ispira sempre, fino alla morte (1226), ma lei è per parte sua una protagonista, anche se sarà faticoso farle accettare l’incarico di abbadessa. In un certo modo essa preannuncia la forte iniziativa femminile che il suo secolo e il successivo vedranno svilupparsi nella Chiesa.
Il cardinale Ugolino, vescovo di Ostia e protettore dei Minori, le dà una nuova regola che attenua la povertà, ma lei non accetta sconti: così Ugolino, diventato papa Gregorio IX (1227-41) le concede il “privilegio della povertà”, poi confermato da Innocenzo IV con una solenne bolla del 1253, presentata a Chiara pochi giorni prima della morte.
Austerità sempre. Però "non abbiamo un corpo di bronzo, né la nostra è la robustezza del granito". Così dice una delle lettere (qui in traduzione moderna) ad Agnese di Praga, figlia del re di Boemia, severa badessa di un monastero ispirato all’ideale francescano.
Chiara le manda consigli affettuosi ed espliciti: "Ti supplico di moderarti con saggia discrezione nell’austerità quasi esagerata e impossibile, nella quale ho saputo che ti sei avviata". Agnese dovrebbe vedere come Chiara sa rendere alle consorelle malate i servizi anche più umili e sgradevoli, senza perdere il sorriso e senza farlo perdere. A soli due anni dalla morte, papa Alessandro IV la proclama santa.
Chiara si distinse per il culto verso l'Eucarestia. Per due volte Assisi venne minacciata dall'esercito dell'imperatore Federico II che contava, tra i suoi soldati, anche saraceni. Chiara, in quel tempo malata, fu portata alle mura della città con in mano la pisside contenente il Santissimo Sacramento: i suoi biografi raccontano che l'esercito, a quella vista, si dette alla fuga.
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SAN BENEDETTO DA NORCIA
San Benedetto da Norcia (Norcia, 2 marzo 480 circa – Montecassino, 21 marzo 547) è stato un monaco italiano, fondatore dell'ordine dei Benedettini. Viene venerato da tutte le chiese cristiane che riconoscono il culto dei santi.
San Benedetto, fratello di santa Scolastica, nacque verso il 480 nella città umbra di Norcia. Il padre Eutropio, figlio di Giustiniano Probo della gens Anicia, era Console e Capitano Generale dei Romani nella regione di Norcia, mentre la madre era Abbondanza Claudia de' Reguardati di Norcia; quando ella morì, secondo la tradizione, i due fratelli furono affidati alla nutrice Cirilla.
San Benedetto del Mantegna
A 12 anni fu mandato con la sorella a Roma a compiere i suoi studi, ma come racconta san Gregorio Magno nel II Libro dei Dialoghi, sconvolto dalla vita dissoluta della città «ritrasse il piede che aveva appena posto sulla soglia del mondo per non precipitare anche lui totalmente nell'immane precipizio. Disprezzò quindi gli studi letterari, abbandonò la casa e i beni paterni e cercò l'abito della vita monastica perché desiderava di piacere soltanto a Dio».
All'età di 17 anni, insieme con la sua nutrice Cirilla, si ritirò nella valle dell'Aniene presso Eufide (l'attuale Affile), dove secondo la leggenda devozionale avrebbe compiuto il primo miracolo, riparando un vaglio rotto dalla stessa nutrice. Lasciò poi la nutrice e si avviò verso la valle di Subiaco, presso gli antichi resti di una villa neroniana, della quale le acque del fiume Aniene alimentavano tre laghi (la città sorgeva appunto sotto - "sub" - questi laghi). A Subiaco incontrò Romano, monaco di un vicino monastero retto da un abate di nome Adeodato, che, vestitolo degli abiti monastici, gli indicò una grotta impervia del Monte Taleo (attualmente contenuta all'interno del Monastero del Sacro Speco), dove Benedetto visse da eremita per circa tre anni, fino alla Pasqua dell'anno 500. Conclusa l'esperienza eremitica, accettò di fare da guida ad altri monaci in un ritiro cenobitico presso Vicovaro, ma, dopo che alcuni monaci tentarono di ucciderlo con una coppa di vino avvelenato, tornò a Subiaco. Qui rimase per quasi trenta anni, predicando la "Parola del Signore" ed accogliendo discepoli sempre più numerosi, fino a creare una vasta comunità di tredici monasteri, ognuno con dodici monaci ed un proprio abate, tutti sotto la sua guida spirituale.
Negli anni tra il 525 ed il 529, a seguito di un altro tentativo di avvelenamento con un pane avvelenato, Benedetto decise di abbandonare Subiaco per salvare i propri monaci. Si diresse verso Cassino dove, sopra un'altura, fondò il monastero di Montecassino, edificato sopra i resti di templi pagani e con oratori in onore di san Giovanni Battista (da sempre ritenuto un modello di pratica ascetica) e di san Martino di Tours, che era stato iniziatore in Gallia della vita monastica.
La regola. Nel monte di Montecassino Benedetto compose la sua Regola verso il 540. Prendendo spunto da regole precedenti, in particolare quelle di san Giovanni Cassiano e san Basilio, ma anche San Pacomio, San Cesario e l'Anonimo della Regula Magistri (forse l'abate Servando), con il quale ebbe stretti rapporti proprio nel periodo della stesura della regola benedettina, egli combinò l'insistenza sulla buona disciplina con il rispetto per la personalità umana e le capacità individuali, nell'intenzione di fondare una scuola del servizio del Signore, in cui speriamo di non ordinare nulla di duro e di rigoroso.
La Regola, (sintesi del Vangelo), nella quale si organizza nei minimi particolari la vita dei monaci all'interno di una "corale" celebrazione dell'uffizio, diede nuova ed autorevole sistemazione alla complessa, ma spesso vaga e imprecisa, precettistica monastica precedente. I due cardini della vita comunitaria sono il concetto di stabilitas loci (l'obbligo di risiedere per tutta la vita nello stesso monastero contro il vagabondaggio allora piuttosto diffuso di monaci più o meno "sospetti") e la conversatio, cioè la buona condotta morale, la pietà reciproca e l'obbedienza all'abate, il "padre amoroso" (il nome deriva proprio dal siriaco abba, "padre") mai chiamato superiore, e cardine di una famiglia ben ordinata che scandisce il tempo nelle varie occupazioni della giornata durante la quale la preghiera e il lavoro si alternano nel segno del motto ora et labora ("prega e lavora").
I monasteri che seguono la regola di san Benedetto sono detti benedettini. Anche se ogni monastero è autonomo sotto l'autorità di un abate, si organizzano normalmente in confederazioni monastiche, delle quali le più importanti sono la congregazione cassinense e la congregazione sublacense, originatesi rispettivamente attorno all'autorità dei monasteri benedettini di Montecassino e di Subiaco.
A Montecassino Benedetto visse fino alla morte, ricevendo l'omaggio dei fedeli in pellegrinaggio e di alcune personalità come Totila re degli Ostrogoti, che il monaco ammonì, e l'abate Servando.
Benedetto morì il 21 marzo 547 dopo 6 giorni di febbre fortissima[1] e quaranta giorni circa dopo la scomparsa di sua sorella Scolastica, con la quale ebbe comune sepoltura. Secondo la leggenda devozionale spirò in piedi, sostenuto dai suoi discepoli, dopo aver ricevuto la comunione e con le braccia sollevate in preghiera, mentre li benediceva e li incoraggiava.
Le diverse comunità benedettine ricordano la ricorrenza della morte del loro fondatore il 21 marzo, mentre la Chiesa cattolica ne celebra ufficialmente la festa l'11 luglio (in realtà tradizionale data del suo Patrocinio), da quando papa Paolo VI ha proclamato san Benedetto da Norcia patrono d'Europa il 24 ottobre 1964 in onore della consacrazione della Basilica di Montecassino. La Chiesa ortodossa celebra la sua ricorrenza il 14 marzo.
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MADRE TERESA DI CALCUTTA
« Io sono come una piccola matita nelle Sue mani, nient'altro.
È Lui che pensa. È Lui che scrive.
La matita non ha nulla a che fare con tutto questo.
La matita deve solo poter essere usata. »
Madre Teresa di Calcutta, al secolo Anjëzë Gonxhe Bojaxhiu (pron. aÅ‹É›zÉ™ gÉ”nʤa bÉ”jadÊ’i:u; Skopje, 26 agosto 1910 – Calcutta, 5 settembre 1997), è stata una religiosa albanese, di fede cattolica, fondatrice della congregazione religiosa delle Missionarie della Carità.
Il suo lavoro instancabile tra le vittime della povertà di Calcutta l'ha resa una delle persone più famose al mondo. Ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 1979, e il 19 ottobre 2003 è stata proclamata beata da Papa Giovanni Paolo II.
Nacque il 26 agosto 1910 a Skopje in una benestante famiglia di genitori albanesi originari del Kosovo: la madre, Drane, era nata a Gjakova e il padre, Kolë era originario di Prizren[1]. All'età di otto anni rimase orfana di padre e la sua famiglia si trovò in gravi difficoltà economiche. A partire dall'età di dieci - quattordici anni partecipò alle attività della parrocchia del Sacro Cuore di Skopje, in particolare quelle del coro, del teatro e dell'aiuto alle persone povere. In quel periodo cominciò a conoscere l'India tramite le lettere di missionari gesuiti attivi nel Bengala.
Nel 1928, a diciotto anni, decise di prendere i voti entrando come aspirante nelle Suore di Loreto, un ramo dell'Istituto della Beata Vergine Maria che svolgeva attività missionaria in India. Dopo un primo colloquio a Parigi, venne inizialmente inviata a Dublino, in Irlanda, dove si fermò sei settimane per imparare le prime nozioni di inglese e ricevere il velo di postulante.
Nel gennaio 1929 raggiunse l'India dove, dopo una breve sosta a Calcutta, venne inviata nel Darjeeling, alle pendici dell'Himalaya, per completare la sua preparazione. Qui si fermò due anni, studiando le lingue inglese e bengali e insegnando nella scuola annessa al convento. Svolse anche un'attività come aiuto-infermiera che la mise in contatto con la realtà dei malati. Il 24 maggio 1931, prese i voti temporanei, assumendo il nome di Maria Teresa, ispirandosi a santa Teresa di Lisieux[2] .
Dopo aver preso i voti, Teresa lasciò Darjeeling e raggiunse Calcutta, dove per i successivi 17 anni visse e lavorò presso il collegio cattolico di Saint Mary's High School del sobborgo di Entally, frequentato soprattutto dalle figlie dei coloni britannici. Insegnava storia e geografia e poté studiare la lingua hindi. La regola delle Suore di Loreto non le consentiva di allontanarsi dal convento[3] ma, grazie alle attività di volontariato svolto da alcune sue alunne ebbe modo di prendere sempre maggiore consapevolezza delle terribili condizioni di vita negli slum di Calcutta, e in particolare in quello di Motijhil, confinante con la scuola.
Nel 1937 si recò a Darjeeling per pronunziare i voti perpetui. Divenne così Madre Teresa, nome che mantenne per il resto della vita.
Tornata a Calcutta, assunse progressivamente diverse responsabilità organizzative, fino ad essere nominata, nel 1944, direttrice della scuola. Gli anni della guerra ebbero profonde ripercussioni sulle attività svolte dalle suore, che si dedicarono sempre più all'accoglienza di orfani e bambini abbandonati. Lo stesso convento di Entally venne requisito e, fino al 1945, trasformato in un ospedale militare britannico.
Nell'agosto del 1946 Calcutta fu teatro di scontri sanguinosi tra diverse fazioni indipendentiste, note come Great Calcutta Killing[4]. La città fu paralizzata per diversi giorni e Madre Teresa, uscita dal collegio per trovare del cibo, rimase impressionata dalla devastazione che ebbe modo di vedere. In lei cominciò quindi a maturare una profonda riflessione interiore che l'avrebbe condotta presto alla svolta decisiva della sua vita.
La sera del 10 settembre partì in treno per recarsi a Darjeeling, dove doveva svolgere dieci giorni di esercizi spirituali. Come lei stessa ricostruirà più tardi, fu proprio in quella notte di viaggio, a contatto con condizioni di povertà estrema, che lei ebbe una "chiamata nella chiamata"[5]:
« Quella notte aprii gli occhi sulla sofferenza e capii a fondo l'essenza della mia vocazione [...] Sentivo che il Signore mi chiedeva di rinunciare alla vita tranquilla all'interno della mia congregazione religiosa per uscire nelle strade a servire i poveri. Era un ordine. Non era un suggerimento, un invito o una proposta [...] » (Cit. in Renzo Allegri, Madre Teresa mi ha detto, Ancora Editrice, Milano, 2010)
Madre Teresa decise quindi di uscire dal convento e mettersi al servizio dei "più poveri tra i poveri", come si sentiva ora chiamata a fare. Dovette comunque aspettare due anni per convincere le consorelle e l'arcivescovo di Calcutta, e ottenere le approvazioni necessarie. Le resistenze furono infatti numerose, tanto che la giovane suora venne anche trasferita, per un breve periodo, nella città di Asansol.
Nel 1948 Madre Teresa ebbe infine l'autorizzazione dal Vaticano ad andare a vivere da sola nella periferia della metropoli, a condizione che continuasse la vita religiosa. Decise quindi di abbandonare il velo nero delle Suore di Loreto il giorno della festa dell'Assunzione (15 agosto 1948), a vent'anni esatti dalla prima chiamata che aveva ricevuto diciottenne al santuario della Madonna nera di Letnice.
Lo stesso anno Madre Teresa prese inoltre la cittadinanza della neo-indipendente Repubblica indiana, sancendo così la profondità del suo legame con le persone che voleva servire.
Lasciato il convento, si recò per un breve periodo presso le suore di Patna, nel medio Gange, per acquisire nozioni sanitarie. Si fermò lì quattro mesi, nei quali si convinse del ruolo che l'igiene e una migliore alimentazione potevano avere nel migliorare la vita di coloro che abitavano negli slum.
Tornata a Calcutta, alla fine del 1948 iniziò la sua missione al servizio dei poveri recandosi con cinque rupie[7] nello slum di Motijhil: qui inizialmente ebbe come base una capanna, dove cominciò ad insegnare e ad assistere i bambini poveri della zona. Presto attorno a lei si formò una piccola rete di volontari che l'aiutavano nell'insegnamento, nella distribuzione di cibo e nella diffusione di elementari pratiche igieniche. Grazie all'aiuto di uno di questi collaboratori, Michael Gomes, nel febbraio 1949 Madre Teresa poté trasferirsi in una casa. Dopo aver assistito una donna che moriva in strada, decise di riservare una stanza di quella casa a malati e moribondi.
Nel marzo 1949 una sua ex-allieva, Shubashini Das, si unì a lei, creando le basi per la costruzione di una piccola comunità.
Nel 1950, Madre Teresa fondò la congregazione delle Missionarie della carità, la cui missione era quella di prendersi cura dei "più poveri dei poveri" e "di tutte quelle persone che si sentono non volute, non amate, non curate dalla società, tutte quelle persone che sono diventate un peso per la società e che sono fuggite da tutti". Le prime aderenti furono dodici ragazze, tra cui alcune sue ex allieve alla Saint Mary. Stabilì come divisa un semplice sari bianco a strisce azzurre, pare fu scelto da Madre Teresa perché era il più economico fra quelli in vendita in un piccolo negozio ma soprattutto perché aveva i colori della casta degli intoccabili, la più povera dell'india.
Il numero di persone che desideravano seguire l'esempio di Madre Teresa crebbe rapidamente, tanto che le stanze messe inizialmente a disposizione da Gomes si rivelarono presto inadeguate. Nel febbraio 1953 le suore poterono quindi spostarsi in una nuova sede a 54A Lower Circular Road, messa a loro disposizione dall'arcidiocesi di Calcutta, che ospita tuttora la casa madre delle Missionarie della Carità. Lo stile di vita voluto da Madre Teresa, ispirato in parte a san Francesco, prevedeva un'austerità rigorosa, in linea con la condizione di vita dei poveri e con la necessità di preservare gli ideali del nuovo ordine.
Nel frattempo, il 22 agosto 1952 era stata inaugurata la Casa Kalighat per i morenti (poi chiamata casa dei puri di cuore: Nirmal Hriday), nata per offrire cure e assistenza ai numerosi malati rifiutati dagli ospedali cittadini. A quel tempo l'abbandono dei malati era un fenomeno frequente, legato alle condizioni di estrema povertà in cui versava buona parte della popolazione cittadina. Lo stesso Comune di Calcutta, consapevole della gravità del problema, aveva quindi messo a disposizione di Madre Teresa un ostello abbandonato nei pressi del tempio di Kali (Kalighat) e aveva fornito una somma mensile di denaro. Le persone portate all'ospizio venivano assistite e avevano, nel caso, la possibilità di morire con dignità secondo i riti della propria fede: ai musulmani si leggeva il Corano, agli indù si dava acqua del Gange, e i cattolici ricevevano l'estrema unzione[10]. Gli inizi furono comunque difficili. Non mancarono le resistenze e i sospetti di proselitismo, soprattutto da parte dei sacerdoti induisti del vicino tempio. Madre Teresa è stata ad esempio accusata di battezzare i malati in punto di morte, senza chiedere il loro parere. Tali critiche hanno preso spunto da una dichiarazione nella quale Madre Teresa dichiarava di offrire ai malati "uno speciale biglietto per san Pietro".[11] Superate le iniziali diffidenze, la struttura venne comunque poi sostenuta e appoggiata, sia tramite il contributo di volontari che attraverso donazioni, da persone di diversi credi religiosi.
Negli anni le attività delle Missionarie della Carità si ampliarono, e compresero il reinserimento lavorativo delle persone guarite e l'assistenza ai bambini abbandonati o rimasti orfani: quest'ultima attività, in particolare, poté essere avviata grazie al sostegno di una signora indù di Calcutta.
Madre Teresa decise di dedicarsi anche alla piaga della lebbra, a quel tempo ancora largamente diffusa. Nel 1957, con l'aiuto di un medico, cominciò ad accogliere e assistere alcuni lebbrosi. Poco dopo realizzò delle cliniche mobili per contenere i focolai di infezione, seguendo un modello precedentemente messo a punto da un medico belga a Madras per curare i malati a domicilio.
Nel 1958 Madre Teresa aprì un centro per i malati di lebbra a Tigarah, in una zona degradata nella periferia di Calcutta. Ricordando l'impegno di Gandhi per i lebbrosi, la suora volle dedicare alla sua memoria la struttura, che venne quindi chiamata Gandhiji's Prem Niwas ("Dono d'amore di Gandhi").
Pochi anni dopo, nel 1961, il Governatore del Bengala decise di affidare alle Missionarie della Carità un terreno a circa 300 chilometri da Calcutta, presso il confine con il Bihar: qui Madre Teresa realizzò il villaggio di Shanti Nagar ("Città della pace"), dove i malati di lebbra potevano vivere e lavorare, coltivando i campi, allevando animali e svolgendo attività di artigianato. La presenza di volontari sani favoriva il recupero sociale dei malati, evitando forme di emarginazione.
Sul suo impegno verso i lebbrosi, Madre Teresa spesso ripeteva: "Non ci sono lebbrosi, solo la lebbra, e si può curare".
Per dieci anni Madre Teresa operò solo nel territorio di Calcutta: nel 1959 aprì infine una nuova struttura a Ranchi, nello stato indiano dello Jharkhand[13].
Nel febbraio 1965, papa Paolo VI concesse alle Missionarie della Carità il titolo di "congregazione di diritto pontificio" e la possibilità di espandersi anche fuori dall'India. Il 26 luglio 1965 a Cocorote, in Venezuela, venne quindi aperta la prima casa della congregazione fuori dall'India. Seguì, l'8 dicembre 1967, l'avvio di un centro a Colombo (Sri Lanka). Fu poi la volta di sedi in Africa, America, Asia ed Europa nel corso degli anni settanta, ottanta e novanta.
Nel frattempo, la fama di Madre Teresa cresceva anche grazie alla crescente attenzione che la sua attività riceveva da parte dei media.
L'Ordine si ampliò con la nascita di un ramo contemplativo e di due organizzazioni laicali, aperte cioè anche ai laici. Per i Collaboratori di Madre Teresa, la fondatrice volle mettere in luce la natura non confessionale dell'iniziativa, aperta a persone "di tutte le religioni e tutte le denominazioni". Nel 1981 fu fondato il movimento Corpus Christi aperto ai sacerdoti secolari.
Nel corso degli anni ottanta nacque l'amicizia fra papa Giovanni Paolo II e Madre Teresa, i quali si scambiarono visite reciproche. Grazie all'appoggio di papa WojtyÅ‚a, Madre Teresa riuscì ad aprire ben tre case a Roma, fra cui una mensa nella Città del Vaticano dedicata a Santa Marta, patrona dell'ospitalità. Negli anni novanta, le Missionarie della Carità superarono le quattromila unità con cinquanta case sparse in tutti i continenti.
Il Premio Nobel
Nel 1979 ottenne il Premio Nobel per la Pace. Tra le motivazioni, venne indicato il suo impegno per i più poveri tra i poveri e il suo rispetto per il valore e la dignità di ogni singola persona[15].
Madre Teresa rifiutò il convenzionale banchetto cerimoniale per i vincitori, e chiese che i 6000 dollari di fondi fossero destinati ai poveri di Calcutta, che avrebbero potuto essere sfamati per un anno intero: "le ricompense terrene sono importanti solo se utilizzate per aiutare i bisognosi del mondo".
A partire dalla fine degli anni ottanta, le sue condizioni peggiorarono: dopo un primo ricovero nel 1983, nel 1989 in seguito a un infarto le fu applicato un pacemaker. Si dimise da superiora dell'Ordine ma in seguito a un ballottaggio fu rieletta praticamente all'unanimità, contando solo qualche voto astenuto. Accettò il risultato e rimase alla guida della congregazione.
Nel 1991 si ammalò di polmonite, nel 1992 ebbe nuovi problemi cardiaci e l'anno successivo contrasse la malaria. Nell'aprile del 1996 Madre Teresa cadde e si ruppe una clavicola.
Il 13 marzo 1997 lasciò definitivamente la guida delle Missionarie della Carità, alla cui guida subentrò suor Nirmala Joshi. A marzo incontrò papa Giovanni Paolo II per l'ultima volta, prima di rientrare a Calcutta dove morì il 5 settembre seguente, all'età di 87 anni.
La sua scomparsa suscitò grande commozione nel mondo intero: l'India le riservò solenni funerali di stato, che videro un'enorme partecipazione popolare[16] e la presenza di importanti autorità del mondo intero. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Javier Pérez de Cuéllar, arrivò persino a dichiarare: "Lei è le Nazioni Unite. Lei è la pace nel mondo." Nawaz Sharif, Primo Ministro del Pakistan, disse inoltre che Madre Teresa era "un raro e unico individuo che ha vissuto a lungo per più alti scopi. La sua lunga vita di devozione alla cura dei poveri, dei malati e degli svantaggiati è stata uno dei più grandi esempi di servizio alla nostra umanità."
Madre Teresa è stata sepolta a Calcutta, presso la sede delle Missionarie della Carità[17]. Sulla semplice tomba bianca è stato inciso un verso del Vangelo di Giovanni: « Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. » (Giovanni 15,12)
Con una deroga speciale Giovanni Paolo II fece aprire il processo di beatificazione a soli due anni dalla sua morte. La procedura si concluse nell'estate del 2003 e la proclamazione avvenne il 19 ottobre.
L'arcidiocesi di Calcutta ha aperto già nel 2005 il processo per la canonizzazione. Il 5 settembre 2007, per la ricorrenza del decimo anno dalla morte, papa Benedetto XVI ha celebrato in Vaticano una messa solenne alla presenza dell'arcivescovo di Calcutta.
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DON ORESTE BENZI
Don Oreste Benzi (San Clemente, 7 settembre 1925 – Rimini, 2 novembre 2007) è stato un presbitero italiano, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII.
Nasce in un paesino dell'allora provincia di Forlì, nell'entroterra collinare a 20 km da Rimini, da una povera famiglia di operai, settimo di nove figli. All'età di 12 anni (nel 1937) entra in seminario a Urbino per passare dopo tre anni a quello di Rimini. Viene ordinato sacerdote il 29 giugno 1949. Il 5 luglio dello stesso anno viene nominato cappellano della parrocchia di San Nicolò a Rimini.
Nell'ottobre 1950 viene chiamato in seminario a Rimini quale insegnante e nominato vice-assistente della GIAC (Gioventù Italiana di Azione Cattolica) di Rimini (ne sarà poi assistente nel 1952)[1]. È in questo periodo che matura in lui la convinzione dell'importanza di essere presenti ai giovani adolescenti, in particolar alla fascia fra i 13 e i 15 anni, ai quali nell'Azione Cattolica veniva dato il nome di pre-ju, periodo nel quale si formano i metri di misura definitivi dei valori di vita. Riteneva fondamentale, infatti, realizzare una serie di attività che favorissero un «incontro simpatico con Cristo» per coinvolgere gli adolescenti ad avere incontri decisivi con Cristo. In funzione di questo progetto realizzò anche una casa per ferie, la «Casa Madonna delle Vette», ad Alba di Canazei (TN), costruita dal 1958 al 1961.
Mantenendo l'impegno fra gli adolescenti, nel 1953 è diventato direttore spirituale nel seminario di Rimini per i giovani nella fascia di età dai 12 ai 17 anni. Attraverso tale compito (protrattosi fino al 1969) ha potuto approfondire la conoscenza dell'animo giovanile. Nel frattempo, dal 1953, oltre al seminario, ha insegnato religione in una scuola media, la Scuola agraria «San Giovanni Bosco» di Rimini, frequentata dagli adolescenti nei tre anni dopo le elementari. Questo impegno ha costituito per lui un ulteriore punto di osservazione e campo di azione nel mondo degli adolescenti.
Nel 1959, continuando l'ufficio di padre spirituale in seminario, è stato trasferito al Liceo Ginnasio Statale "Giulio Cesare" di Rimini, poi nel 1963 al Liceo Scientifico "Alessandro Serpieri" di Rimini, ed infine nel 1969 al Liceo Scientifico "Alessandro Volta" di Riccione. In tutti questi anni, dal 1956 in poi, ha gestito nella Diocesi di Rimini l'ufficio Pre-ju attraverso il quale sacerdoti e giovani delegati animavano attività nelle parrocchie e nella casa alpina. Nel 1968, con un gruppo di giovani e con alcuni altri sacerdoti ha dato vita al primo soggiorno estivo per ragazzi disabili. Il soggiorno non è rimasto un episodio isolato e a questo, e alla vita insieme ai disabili sviluppatasi subito dopo, si fa risalire la nascita dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. Nello stesso anno e fino al 2000 diventa Parroco della Parrocchia "La Resurrezione" in un quartiere della periferia di Rimini che divenne la sua casa fino a un mese dalla morte, quando andò a vivere alla "Capanna di Betlemme", una struttura di accoglienza per senza dimora.
Dall'incontro con persone sole ed emarginate, Benzi matura l'idea della prima Casa-famiglia dell'Associazione Coriano (RN), aiutato dalla disponibilità a tempo pieno di alcuni giovani inaugurata il 3 luglio 1973. In quegli anni la sua azione è volta a estendere il campo di azione della Comunità e a precisarne la natura e gli scopi. In particolare la Comunità, seguendo il suo stile, ha scelto, come caratteristica visibile, la "condivisione di vita con gli ultimi", ossia andare oltre l'assistenza e lasciare che la presenza degli ultimi modifichi la propria vita, anche vivendo sotto lo stesso tetto, senza tenere per sé alcun privilegio[4] . Negli anni successivi l'associazione si espande in più di venti paesi nel mondo. Benzi, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, dedica tutto il resto della sua vita a quest'opera.
Oreste Benzi muore il 2 novembre 2007 alle 2.22 in seguito a un attacco cardiaco nella sua casa di Rimini, all'età di 82 anni. Su richiesta della Comunità Papa Giovanni XXIII i funerali, officiati da monsignor Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini, si sono svolti al Palacongressi di Rimini per consentire la partecipazione di quegli "ultimi" che Oreste Benzi amava. Vi hanno partecipato più di diecimila persone.
Con il suo carisma, il suo sorriso e il suo coerente impegno è stato uno degli uomini di Dio più amati, rispettati e seguiti del nostro tempo. In tantissimi hanno invocato per lui subito la Santità.
Dopo la sua morte la Comunità Papa Giovanni XXIII prosegue l'impegno nella sua opera quotidiana di carità e accoglienza verso i più deboli secondo le indicazioni date da Benzi. I settori in cui opera sono: tossicodipendenza, sfruttamento della prostituzione, accoglienza di minori, disabilità, aborto, emarginazione delle classi sociali più deboli, con un'attività che tende alla rimozione stessa delle cause che creano le povertà.
Il 27 ottobre 2012 il Responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII Giovanni Paolo Ramonda ha chiesto ufficialmente al vescovo di Rimini Francesco Lambiasi di avviare la sua causa di beatificazione. L'11 febbraio 2014 la Congregazione per le cause dei santi, a firma del cardinale Amato, ha dato l'approvazione per l'inizio ufficiale della causa.
Come sacerdote si è sempre distinto per l'attenzione prestata ai più emarginati, a quelli che chiamava "gli ultimi" definendoli "coloro ai quali nessuno pensa. E se ci pensa, pensa male.". Così si esprimeva riguardo alla vocazione della Comunità da lui fondata:« La nostra vocazione consiste allora nel lasciarci conformare a Cristo povero, a Cristo servo, a Cristo che espia il peccato del mondo, a Cristo, l'Uomo Dio incarnato che vive in mezzo a noi in una forma di condivisione diretta a partire dagli ultimi. » (dal libro "Con questa tonaca lisa" a cura di Valerio Lessi,Rimini, Guaraldi, 1991, ISBN 88-86025-05--X)
Un altro tratto caratteristico della sua azione è stata la costante ricerca di soluzioni concrete per le persone alle quali rivolge le sue attenzioni. In questo non si è mai limitato ai bisogni immediati, ma ha sempre esteso la sua opera alla rimozione delle cause che provocano l'emarginazione, facendosi anche promotore di iniziative di riforma delle leggi. « Ma dobbiamo veder i fatti, la gente si sente tradita tutte le volte che ripetiamo le parole di speranza, ma non c’è l’azione. Cos’hanno lasciato i cattolici, permettetemelo? Hanno lasciato la devozione. Devozione che è unione con Dio-Amore, che è validissima, ma la devozione senza la rivoluzione non basta, non basta. » (Don Oreste Benzi durante le "Settimane sociali"- 19 ottobre 2007 - Pisa - Riportato da "Avvenire" il 4 novembre 2007)
Le sue fonti di ispirazione erano l'Abbè Pierre, Madre Teresa, Massimiliano Kolbe e gli scritti di Henri-Marie de Lubac, Antoine Chevrier, Don Calabria, il Cardinale Suhard.
Aveva una grande disponibilità ad ascoltare e farsi carico dei bisogni delle persone. Il suo modo di agire era diretto e immediato, con azioni che a volte apparvero spregiudicate, come scendere in piazza coi senza casa, incontrare i giovani in discoteca o andare a cercare le prostitute sulla strada.
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SAN PIO DA PIETRALCINA
Pio da Pietrelcina, al secolo Francesco Forgione (Pietrelcina, 25 maggio 1887 – San Giovanni Rotondo, 23 settembre 1968), è stato un sacerdote cattolico italiano dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini; la Chiesa cattolica lo venera come santo e ne celebra la memoria liturgica il 23 settembre, anniversario della morte.
È stato destinatario, ancora in vita, di una venerazione popolare di imponenti proporzioni, anche in seguito alla fama di taumaturgo da lui acquisita derivante da capacità soprannaturali attribuitegli dai devoti, così come è stato oggetto di aspre critiche e di sospetti in ambienti ecclesiastici e non.
Francesco Forgione nacque a Pietrelcina, un piccolo comune alle porte di Benevento, il 25 maggio 1887, da Grazio Mario Forgione (1860-1946) e Maria Giuseppa di Nunzio (1859-1929). Fu battezzato il giorno successivo nella chiesa di Sant'Anna. Gli venne dato il nome Francesco per desiderio della madre, devota a san Francesco d'Assisi. Il 27 settembre 1899 ricevette la comunione e la cresima dall'allora arcivescovo di Benevento Donato Maria Dell'Olio. La madre era una donna molto cattolica e le sue convinzioni ebbero una grande influenza sulla formazione religiosa del futuro frate.
Il giovane non frequentò le scuole in maniera regolare perché doveva rendersi utile in famiglia lavorando la terra. Solo quando ebbe dodici anni cominciò a studiare sotto la guida del sacerdote Domenico Tizzani che, in un biennio, gli fece svolgere tutto il programma delle elementari. Poi, passò alla scuola per gli studi ginnasiali.
Il desiderio di diventare sacerdote fu sollecitato dalla conoscenza di un frate del convento di Morcone, fra' Camillo da Sant'Elia a Pianisi, che periodicamente passava per Pietrelcina a raccogliere offerte. Le pratiche per l'entrata in convento furono iniziate nella primavera del 1902, quando Forgione aveva 14 anni, ma la sua prima domanda ebbe esito negativo. Solo nell'autunno del 1902 arrivò l'assenso.
Forgione sostenne di aver avuto una visione, il 1º gennaio 1903 dopo la comunione, che gli avrebbe preannunciato una continua lotta con Satana. La notte del 5 gennaio, l'ultima che passava con la sua famiglia, dichiarò di aver avuto un'altra visione in cui Dio e Maria lo avrebbero incoraggiato assicurandogli la loro predilezione. Il 22 gennaio dello stesso anno, a 15 anni, vestì i panni di probazione del novizio cappuccino e diventò "fra' Pio".
Concluso l'anno del noviziato, fra Pio emise la professione dei voti semplici (povertà, castità e obbedienza) il 22 gennaio del 1904. Intraprese gli studi ginnasiali a Sant'Elia a Pianisi (CB).
Il 18 luglio del 1909 ricevette l'ordine del diaconato, nel noviziato di Morcone. Nei mesi di novembre e dicembre dello stesso anno, risiedette nel convento di Gesualdo (AV). Il 10 agosto 1910 fu ordinato sacerdote. Nonostante fosse ancora ventitreenne, il vescovo decise per un'eccezione alle disposizioni del diritto canonico che all'epoca prevedevano un'età minima per l'ordinazione di 24 anni.
In tale periodo gli agiografi collocano la comparsa sulle sue mani delle stimmate. Fra' Pio diede comunicazione per la prima volta l'8 settembre 1911, in una lettera indirizzata al padre spirituale di San Marco in Lamis: qui il frate racconta che il fenomeno andrebbe ripetendosi da quasi un anno, e che avrebbe taciuto perché vinto «sempre da quella maledetta vergogna». Il 7 dicembre 1911 fece ritorno a Pietrelcina per ragioni di salute, restandovi, salvo qualche breve interruzione, sino al 17 febbraio 1916.
Il 10 ottobre dello stesso anno fra' Pio rispose alle domande perentorie, rivoltegli da padre Agostino da San Marco in Lamis, affermando che avrebbe ricevuto le stimmate, «visibili, specie in una mano», e che, pregando il Signore, il fenomeno sarebbe scomparso, ma non il dolore che sarebbe rimasto «acutissimo»; sostenne inoltre che avrebbe subito quasi ogni settimana, da alcuni anni, la coronazione di spine e la flagellazione.
Prestò il servizio militare a Benevento dal 6 novembre 1915. Un mese dopo venne assegnato alla decima compagnia sanità di Napoli. Svolse il servizio con molte licenze per motivi di salute, sino a essere definitivamente riformato tre anni più tardi, a causa di una «broncoalveolite doppia», il 16 marzo 1918, dall'ospedale principale di Napoli.
Il 17 febbraio 1916 fra' Pio giunse a Foggia, restandovi sette mesi circa e dimorando nel convento di Sant'Anna. La sera del 28 luglio, accompagnato da padre Paolino da Casacalenda, arrivò per la prima volta a San Giovanni Rotondo. Pur sentendosi meglio in tale luogo, dopo una settimana circa scese di nuovo a respirare l'aria afosa di Foggia, poiché il permesso chiesto al padre provinciale, anche se non necessario, tardava a venire. In ragione di ciò il 13 agosto Pio scrisse al provinciale, chiedendo di poter «passare un po' di tempo a San Giovanni Rotondo» anche perché, a suo dire, Gesù gli avrebbe assicurato che là sarebbe stato meglio. Fra' Pio venne infine lasciato in tale convento, con l'ufficio di direttore spirituale del seminario serafico.
Nell'agosto del 1918 fra Pio affermò di aver avuto delle visioni su di un personaggio che lo avrebbe trafitto con una lancia, lasciandogli una ferita costantemente aperta (transverberazione). Poco tempo dopo, in seguito a una ulteriore presunta visione, fra Pio affermò che avrebbe ricevuto delle stigmate. Tali lesioni vennero variamente interpretate: come segno di una particolare santità, o come una patologia della cute (per es. piaghe da psoriasi), o come auto-inflitte.
L'inizio del manifestarsi delle stigmate risalirebbe al 1910, quando per la sua malattia il religioso aveva avuto il permesso di lasciare il convento e di vivere nella sua casa natale a Pietrelcina. Non distante dal paese, tutti i giorni dopo aver celebrato la messa, si recava in una località detta Piana Romana, dove il fratello Michele aveva costruito per lui una capanna e dove aveva la possibilità di pregare e meditare all'aria aperta, che giovava molto ai suoi polmoni malati. Il fenomeno delle stigmate, rivelò al suo confessore, cominciò a manifestarsi proprio in quel luogo, nel pomeriggio del 7 settembre 1910, e si manifestò con maggior intensità un anno dopo nel settembre 1911, quando il frate scrisse al suo direttore spirituale:
« In mezzo al palmo delle mani è apparso un po' di rosso, grande quanto la forma di un centesimo, accompagnato da un forte e acuto dolore. Questo dolore è più sensibile alla mano sinistra. Anche sotto i piedi avverto un po' di dolore. »
Nello stesso periodo cominciarono a circolare voci secondo le quali la sua persona aveva cominciato a emanare un "inspiegabile" profumo, che non era percepito da tutti allo stesso modo: «Chi diceva di sentire profumo di rose, chi di violette, di gelsomino, di incenso, di giglio, di lavanda ecc.»[14].
La voce della comparsa delle stigmate fece il giro del mondo e San Giovanni Rotondo divenne meta di pellegrinaggio da parte di persone che speravano di ottenere grazie. I pellegrini gli attribuirono il merito di alcune conversioni e guarigioni "inaspettate", grazie alla sua intercessione presso Dio. La popolarità di padre Pio e di San Giovanni Rotondo crebbe ancora grazie al passa-parola e la località dovette cominciare ad attrezzarsi per l'accoglienza di un numero di visitatori sempre maggiore.
La situazione divenne imbarazzante per alcuni ambienti della Chiesa cattolica: il Vaticano infatti non aveva notizie precise su cosa stesse realmente accadendo; le scarne informazioni ricevute ben si prestavano ad alimentare il timore di una macchinazione, di fatto sommovente interessi economici, eventualmente perpetrata sfruttando il nome della Chiesa e la tonaca. Un primo inconcludente rapporto fu stilato dal Padre Generale dei cappuccini, il quale a sua volta aveva inviato Giorgio Festa. Questi ipotizzò una possibile origine soprannaturale del fenomeno, ma proprio il suo entusiasmo ne minò la credibilità. Si commissionarono perciò ulteriori indagini, molte delle quali condotte in incognito.[senza fonte]
Il primo medico a studiare le ferite di Padre Pio fu il professore Luigi Romanelli, primario dell'ospedale civile di Barletta, per ordine del padre superiore Provinciale, nei giorni 15 e 16 maggio 1919. Nella sua relazione fra le altre cose scrisse: «Le lesioni che presenta alle mani sono ricoperte da una membrana di colore rosso bruno, senza alcun punto sanguinante, niente edema e niente reazione infiammatoria nei tessuti circostanti. Ho la certezza che quelle ferite non sono superficiali perché, applicando il pollice nel palmo della mano e l'indice sul dorso e facendo pressione, si ha la percezione esatta del vuoto esistente».
Due mesi dopo, il 26 luglio, arrivò a San Giovanni Rotondo il professore Amico Bignami, ordinario di patologia medica all'Università di Roma. Le sue considerazioni mediche non si discostarono da quelle del prof. Romanelli, in più però affermò che secondo lui quelle "stigmate" erano cominciate come prodotti patologici (necrosi neurotonica multipla della cute) ed erano state completate, forse inconsciamente per un fenomeno di suggestione, o con un mezzo chimico, per esempio la tintura di iodio.
Nel 1920 padre Agostino Gemelli, medico, psicologo e consulente del Sant'Uffizio, fu incaricato dal cardinale Merry Del Val di visitare padre Pio ed eseguire "un esame clinico delle ferite". Il Segretario del Sant'Uffizio, chiamato in causa per indagare l'attività del cappuccino, scelse il Gemelli, è dato supporre, sia per le sue conoscenze scientifiche, sia per i suoi studi specialistici sui "fenomeni mistici", che aveva condotti sin dal 1913.
"Perciò - pur essendosi recato nel Gargano di propria iniziativa, senza che alcuna autorità ecclesiastica glielo avesse chiesto - Gemelli non esitò a fare della sua lettera privata al Sant'Uffizio una sorta di perizia ufficiosa su padre Pio"
Il Gemelli volle esprimersi compiutamente in merito e volle incontrare il frate. Padre Pio mostrò nei confronti del nuovo investigatore un atteggiamento di chiusura.
Il 15 dicembre del 1924, il dottor Giorgio Festa chiese alle autorità ecclesiastiche l'autorizzazione a sottoporre il Padre a un nuovo esame clinico per uno studio ulteriore e più aggiornato, ma non l'ottenne.
L'inchiesta sul frate si chiuse con l'arrivo del quinto decreto di condanna (23 maggio 1931) con l'invito ai fedeli di non considerare come sovrannaturali le manifestazioni certificate dal Gemelli, ma i più fedeli sostenitori di Padre Pio non considerarono il divieto di Roma vincolante. A Padre Pio venne vietata la celebrazione della messa in pubblico e l'esercizio della confessione.
Nel luglio del 1933 papa Pio XI revocò le restrizioni precedentemente imposte a padre Pio. Secondo alcuni, il Sant'Uffizio non ritrattò i suoi decreti. Tuttavia, secondo altre fonti, Papa Pio XI avrebbe detto a Monsignor Cornelio Sebastiano Cuccarollo O.F.M. che Padre Pio era stato "più che reintegrato", aggiungendo che "è la prima volta che il Santo Uffizio si rimangia i suoi decreti"; il Santo Uffizio avrebbe parlato di "una grazia speciale per l'anno santo straordinario".
A San Giovanni Rotondo accorreva gente comune, ma anche personaggi famosi. Nel 1938 arrivò Maria José di Savoia che volle farsi fotografare accanto a padre Pio. Giunsero i reali di Spagna, la regina del Portogallo in esilio, Maria Antonia di Borbone, Zita di Borbone-Parma, Giovanna di Savoia, Ludovico di Borbone-Parma, Eugenio di Savoia e tanti altri. Nel 1950 il numero di persone che si volevano confessare era talmente imponente, che venne organizzato un sistema di prenotazioni. Il 9 gennaio 1940 iniziò la costruzione del grande ospedale Casa Sollievo della Sofferenza.
Papa Giovanni XXIII ordinò ulteriori indagini su padre Pio, inviando monsignor Carlo Maccari: nello spirito del Concilio Vaticano II si voleva intervenire con decisione verso forme di fede popolare considerate arcaiche.
Il 30 luglio 1964, il nuovo Papa Paolo VI comunicò ufficialmente tramite il cardinale Ottaviani che a Padre Pio da Pietrelcina veniva restituita ogni libertà nel suo ministero.
Concesse anche l'Indulto per continuare a celebrare, anche pubblicamente, la Santa Messa secondo il rito di San Pio V, sebbene dalla Quaresima del 1965 fosse in attuazione la riforma liturgica. Contemporaneamente, molteplici attività finanziarie gestite da Padre Pio passarono in gestione alla Santa Sede.
Padre Rosario da Aliminusa, inoltre, in relazione alla nomina - da parte della Santa Sede - di padre Clemente da Santa Maria in Punta quale amministratore apostolico destinato a gestire la situazione giuridico-economica dei beni della Casa Sollievo della Sofferenza, fu nominato procuratore generale dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, una delle massime cariche dell'ordine, incaricato, per la funzione, di mantenere i rapporti tra l'Ordine e la Santa Sede, cosa questa che favorì una ricomposizione della frizione che stava insorgendo in relazione alla gestione dei beni e delle donazioni: padre Pio istituì nel suo testamento la Santa Sede quale legataria di tutti i beni della Casa Sollievo della Sofferenza.
Alle ore 2:30 del mattino di lunedì 23 settembre 1968 Padre Pio morì all'età di 81 anni. Ai suoi funerali parteciparono più di centomila persone giunte da ogni parte d'Italia.
Le pratiche giuridiche preliminari del processo di beatificazione iniziarono un anno dopo la morte del Padre, nel 1969, ma incontrarono molti ostacoli, da parte di coloro che erano stati nemici dichiarati di Padre Pio. Furono ascoltati decine di testimoni e raccolti 104 volumi di disposizioni e documenti, e nel 1979 tutto il materiale fu inviato a Roma al vaglio degli esperti del Papa. Il procedimento che portò alla canonizzazione ebbe inizio con il nihil obstat del 29 novembre 1982.
Il 20 marzo 1983 iniziò il processo diocesano per la sua canonizzazione. Il 21 gennaio 1990 Padre Pio venne proclamato venerabile, fu beatificato il 2 maggio 1999 e proclamato santo il 16 giugno 2002 in piazza San Pietro da papa Giovanni Paolo II come san Pio da Pietrelcina. La sua festa liturgica viene celebrata il 23 settembre.
Tra i presunti segni miracolosi che gli vengono attribuiti troviamo le "stigmate" che avrebbe portato per 50 anni (20 settembre 1918 - 23 settembre 1968), il dono della bilocazione, la profezia e la scrutazione dei cuori e delle coscienze (capacità di leggere nei cuori e nella mente delle persone) (carisma noto come cardiognosi). Tra i molti miracoli che gli vengono attribuiti c'è quello della guarigione del piccolo Matteo Pio Colella di San Giovanni Rotondo, sul quale è stato celebrato il processo canonico che ha portato poi alla elevazione agli altari di San Pio.
Tra i racconti di bilocazione che lo avrebbero visto protagonista c'è quello fornito da Luigi Orione, secondo il quale nel 1925, mentre si trovava in piazza San Pietro per i festeggiamenti in onore di Teresa di Lisieux, gli sarebbe apparso inaspettatamente Padre Pio da Pietrelcina, che in realtà non si mosse mai dal convento che lo ospitava dal 1918 sino alla morte.
In generale, ai fini della canonizzazione, la Chiesa cattolica ritiene necessario un secondo miracolo, dopo quello richiesto per la beatificazione: nel caso di Padre Pio, ha ritenuto miracolosa la guarigione di Matteo Pio Colella, un bambino di sette anni nato a San Giovanni Rotondo.
Il 20 gennaio 2000, mentre era a scuola, Matteo si sentì male: fu portato a casa, ma nella serata la situazione precipitò e il padre, urologo dell'ospedale "Casa Sollievo della Sofferenza", lo accompagnò al pronto soccorso dello stesso ospedale, dove fu diagnosticata una meningite fulminante. Ricoverato in rianimazione, il 21 gennaio Matteo ebbe un edema polmonare e non si riusciva più a rilevare la pressione arteriosa; successivamente collassarono nove organi; i medici emisero una prognosi infausta, non avendo mai registrato guarigioni in pazienti con più di cinque organi compromessi, secondo la casistica riportata nella letteratura medica internazionale[30]. In favore del bambino si sviluppò una catena di preghiere rivolte a Padre Pio, a cominciare dai genitori, devoti del frate. La madre riferì di aver avuto una visione di Padre Pio, e la stessa cosa riferì Matteo una volta uscito dal coma. Contrariamente alle previsioni, il bambino cominciò a migliorare, e il 25 febbraio fu dimesso. Dopo un altro mese di terapie riabilitative poté riprendere la scuola, con un successivo completo recupero psicofisico.
La Consulta medica della Congregazione per le Cause dei Santi, il 22 novembre 2001, dichiarò che "La guarigione, rapida, completa e duratura, senza postumi, era scientificamente inspiegabile"[31]. Il decreto sul presunto miracolo fu promulgato il 20 dicembre 2001 alla presenza di Giovanni Paolo II, che procedette alla canonizzazione il 16 giugno 2002.
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